Jon Dahl Tomasson, il freddo danese che scaldò i cuori rossoneri

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C’è uno stereotipo duro ad andare via, ma che forse sotto sotto nasconde davvero parecchia verità.

Stiamo parlando dello stereotipo che inquadra i popoli del Nord Europa come freddi, glaciali, di poche parole e poche emozioni. E probabilmente il calcio non fa eccezione, visto che di giocatori così, nel corso degli anni, siamo stati abituati a vederne parecchi.

Qualcuno di loro, però, è riuscito, anche con addosso questo alone di imperturbabilità, a smuovere i cuori dei tifosi italiani, sempre passionali, sempre animati da una genuinità fuori portata per il resto delle popolazioni europee.

E c’è anche chi qualche cuore lo ha fatto impazzire davvero: Jon Dahl Tomasson, per esempio, il 23 marzo del 2003 scherzò con le coronarie dei tifosi del Milan, con quel pallone toccato sul pallonetto di Inzaghi nei minuti di recupero dei quarti di finale di Champions League contro l’Ajax. Un pallone che stava andando in porta, e che il danese toccò per mandare in rete, facendo venire a tutti un coccolone, con il rischio di farlo annullare per fuorigioco.

La bandierina del guardalinee, quella sera a San Siro, rimase giù. E Tomasson entrò nella storia come il marcatore che portò il Milan in semifinale di Champions, sulla strada per il trionfo di Old Trafford.

Tomasson era arrivato a Milano nell’estate del 2002, uno dei colpi a parametro zero che tanto piacevano ad Adriano Galliani.

Ma facciamo un passo indietro. Jon Dahl Tomasson nasce a Copenaghen il 29 agosto del 1976, e comincia a giocare a 5 anni in una delle tante squadre della sua città, il Solrød Boldklub. Nel 1994, a soli 18 anni, va già all’estero, in Olanda, per vestire la maglia dell’Herenveen. In Eredivisie rimane per 3 anni, andando sempre in crescendo con le marcature. Prima 5, poi 16, poi 25 gol totali nella stagione 1996-97, numeri che attirano l’attenzione degli inglesi del Newcastle.

Nell’estate del 1997 viene così acquistato dai Magpies, che sborsano la bellezza di 30 milioni di sterline. Ma l’avventura di Tomasson in Premier League, per motivi tecnici e forse anche fisici, è un vero e proprio flop. Dura un solo anno, in cui mette a segno 4 gol in 35 presenze, convincendo i bianconeri a liberarsi immediatamente di lui già nell’estate del ’98.

Allora, è di nuovo una squadra olandese a puntare su di lui. Il Feyenoord lo riporta in Eredivisie, e Tomasson ricomincia a segnare, diventando un punto di riferimento per la sua squadra e conquistandosi il posto da titolarissimo nella nazionale danese, con cui disputa gli Europei del 2000.

Nell’estate del 2002 si libera a parametro zero e approda in Italia, al Milan, per completare un reparto che poteva contare su Shevchenko, Inzaghi e Rivaldo, tanto per fare qualche nome. In rossonero Tomasson si ritaglia i suoi spazi, segna gol importanti, diventa un meccanismo di una squadra che vince e convince, pur senza essere indispensabile.


Il danese chiude l’avventura in Italia nel 2005, con 35 gol in 114 partite. Nel frattempo, è riuscito anche a dare un dispiacere alla nazionale italiana, a Euro 2004, rendendosi protagonista con una doppietta nella famigerata partita del biscotto con la Svezia.

Dopo l’addio alla Serie A, Tomasson entra nella parabola discendente della sua carriera. Due avventure allo Stoccarda e al Villarreal, senza fare sfracelli, prima del ritorno al Feyenoord nel 2008 e prima del ritiro, avvenuto nel giugno del 2011. La carriera di Tomasson si chiude con 249 gol segnati in poco più di 600 partite, e il ricordo di un calciatore sempre educato, amato da quasi tutti gli allenatori e capace di ritagliarsi i suoi spazi, non per forza a suon di gol.

Dopo il ritiro ha cominciato la carriera da allenatore, e dopo diverse esperienze da vice, a gennaio dell’anno scorso ha ricevuto il suo primo incarico vero e proprio, da tecnico del Malmo, in Svezia. Una nuova avventura che il gigante danese saprà vivere senza lasciar trasparire emozione alcuna, ne siamo certi.