Johan Cruyff era avanti anni luce

    cruyff
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    Non è stato un calciatore normale.

    Dire che sia stato il migliore di tutti è sbagliato, anche perché fare una classifica, rimanendo per esempio solo nel suo reparto, tra lui e i vari Di Stefano, Pelé, Maradona, Platini, Ronaldo il fenomeno, fino ad arrivare ai giorni nostri con Messi e Cristiano, non è né facile, né giusto.

    Ma dire che è stato colui che più di ogni altro ha lasciato un segno indelebilenel meraviglioso e complesso mondo del calcio sì, questo possiamo affermarlo con certezza.

    Johan Cruyff era avanti anni luce.

    Di vittorie, ma soprattutto di testimonianze autorevoli che lo confermano ce ne sono state parecchie nel corso degli anni.

    Pep Guardiola lo ricordò nel giorno della sua scomparsa come un maestro inarrivabile, colui che gli cambiò la vita: «Non sapevo nulla di calcio, fino a quando non conobbi lui. Mi ha insegnato una grammatica che non conoscevo. Ciò che si ricorderà di Cruyff non sono i titoli vinti, che sono comunque tantissimi. Ma il fatto di aver cambiato i club in cui è stato. Ha trasformato l’Ajax, il Barça, l’Olanda, la Spagna. Era un personaggio dominante, con una personalità unica. Un gran maestro: dominava, controllava tutto e ci proteggeva da tutto e tutti. L’ho paragonato al professore di una materia che ti piace, di cui non vedi l’ora che faccia lezione. Era un tipo che ti diceva tutto il contrario di quello che avevi sentito per tutta la vita: ti dicevano che perdevi perché non correvi ma un giorno arriva lui e ti spiega che perdi perché corri troppo…».

    Lele Oriali, campione del mondo ’82 e marcatore del Profeta durante la finale di Coppa Campioni 1972 tra la sua Inter e l’Ajax (vinta dai lancieri), ne ha sempre parlato come un calciatore differente: «Cruijff non era soltanto un centravanti pur essendo nominalmente un centravanti. Lui sapeva far tutto, davanti e dietro, e rendeva quell’Ajax, e anche la nazionale olandese, espressioni di calcio uniche, rivoluzionarie. Sia da un punto di vista tecnico che, soprattutto, tattico. La massima espressione dell’uomo-squadra. Faceva la giocata sempre con estrema naturalezza, ma mai per se stesso: tutto era fatto in funzione del gruppo. Ha contribuito a cambiare un modo consolidato di fare calcio. Prima di quel periodo parole come pressing, fuorigioco, squadra corta e “calcio totale” non si erano mai sentite. Non esistevano. Cruijff ha portato novità sostanziali sul piano tattico sfruttando testa e gambe. Prendeva la palla, ti faceva mezza finta e poi scattava. Poi, durante lo scatto, scattava di nuovo. Ditemi: come potevi marcarlo uno così? L’esempio di un campione infinito, ma che giocava sempre per la squadra…»

    Due testimonianze bellissime, che fanno capire perfettamente cos’è stato per il calcio Johan Cruyff.

    Olandese di nascita, catalano di adozione, Johan è considerato uno dei più grandi calciatori mai esistiti anche grazie ai suoi 428 gol in carriera e alle sue innumerevoli vittorie, di squadra e personali, su tutte le tre Coppe Campioni consecutive con l’Ajax e i tre Palloni d’Oro (1971, 1973 e 1974). 

    Con la nazionale olandese purtroppo non riuscirà a vincere come ha fatto con i club, pur arrivando in finale al mondiale del ’74 (al Mundial del ’78 scelse di non partecipare) e terzo all’Europeo del ’76 con la sua Olanda.

    Ma nonostante le sconfitte sul campo, il “Profeta del gol” e la sua Olanda erano visto da tutti (tedeschi e argentini esclusi ovviamente) come i veri vincitori morali.

    Il modo di giocare di Ajax e Olanda divenne ben presto sinonimo di quello che passerà alla storia come Calcio totale.

    Cos’è? Provo a spiegarlo in poche e semplici parole.

    Il calcio totale è un sistema di gioco dove nessun calciatore ha un ruolo fisso ed è perennemente alla ricerca dello spazio: si evita così di dare dei punti di riferimento all’avversario.

    Lo stile, ben organizzato dal leggendario Rinus Michels, tecnico sia del meraviglioso Ajax (dal 1965 al 1971)che nell’Olanda della Coppa del mondo 1974, vedeva in Cruyff il “direttore d’orchestra” sul campo. 

    L’ottimo difensore di quelle due formidabili squadre, l’olandese Barry Hulshoff, spiegò poi la filosofia del calcio totale, che portò i lancieri alla vittoria della Coppa dei Campioni per tre anni consecutivi e l’ Arancia meccanica olandese ai mondiali del ’74, torneo a cui lui, dopo aver contribuito con il gol decisivo, purtroppo non vi partecipò a causa di un infortunio.

    «Discutevamo di spazio per tutto il tempo. Johan spiegava sempre dove i compagni avrebbero dovuto correre, dove rimanere fermi, dove non si sarebbero dovuti muovere. Si trattava di creare spazio ed entrare nello spazio. È una sorta di architettura sul campo. Parlavamo sempre di velocità della palla, spazio e tempo. Dove c’è più spazio? Dov’è il calciatore che ha più tempo a disposizione? È lì che dobbiamo giocare il pallone. Ogni giocatore doveva capire il sistema nel suo complesso».

    Lo stesso Cruyff la vedeva così: «Ogni allenatore parla di movimento, dice di correre sempre. Io dico: non correte molto. Il calcio è un gioco in cui si gioca con il cervello. Bisogna trovarsi nel posto giusto nel momento giusto, né troppo tardi, né troppo presto».

    E chi lo ha visto giocare, assicura che vederlo in campo era qualcosa di meraviglioso.

    E di tutte le dichiarazioni, i complimenti e le testimonianze spese nei suoi confronti, ce n’è uno che più di tutti fa capire la sua vera grandezza, quello di Alfredo Di Stefano, che di lui dirà:

    «Non è un attaccante, ma fa tanti gol. Non è un difensore, ma non perde mai un contrasto. Non è un regista, ma gioca ogni pallone nell’interesse del compagno. Bisogna aggiungere altro?».

    No, non bisogna aggiungere altro. 

    Come allenatore poi non è stato leggendario come lo è stato da giocatore, ma quasi: 4 campionati spagnoli, 1 Coppa Campioni (la prima nella storia del Barcellona), 2 Coppe delle Coppe, 1 Supercoppa UEFA, 2 Coppa d’Olanda e 1 di Spagna. L’unico neo la finale di coppa Campioni del 1994 persa male, malissimo, contro il Milan di Capello (0-4) dopo un pre gara condotto forse in maniera un po’ troppo spavalda.

    Ma in blaugrana, oltre ai ricordi e alle vittorie acquisite sia da calciatore che da allenatore, ha lasciato in dono qualcosa di molto più importante: le sue idee rivoluzionarie.

    Da quando il Profeta ha messo piede in Catalunya, si è aperto un nuovo mondo calcistico a Barcellona.

    Ancora oggi da quelle parti, vivono degli insegnamenti e di ciò che ha seminato.

    Insomma è chiaro che un personaggio straordinario come Hendrik Johannes Cruijff, al secolo Johan Cruyff, rimarrà per sempre nei ricordi e nei libri di storia calcistici.