L’eternità di Paolo Maldini

    maldini
    maldini

    Nel 1985 la sua prima partita: da lì l’inizio di una storia leggendaria

    Cos’è stato e cos’è Paolo Maldini per il Milan e per il calcio probabilmente i più giovani (intendo quelli nati più o meno dopo il 2003) possono non saperlo a pieno. D’altronde è un po’ il problema che caratterizza il mondo dello sport: il tempo passa, il gioco si evolve, poi i calciatori smettono e pian piano se ne parla sempre meno, perlomeno di una gran parte di loro.

    Poi però ci sono quelli speciali, quelli destinati ad esser ricordati e tramandati di generazione in generazione, quelli che hanno scritto pagine di storia calcistica con memorabili vittorie, con i comportamenti, con la passione: quelli come Paolo Maldini, quelli che non passano mai.

    Leggenda vuole che l’allora mister del Milan, il barone Niels Liedholm, poco prima di un match di serie A si rivolse così ai suoi collaboratori: «Faccio giocare il fanciullo, il figlio di Cesare». Allorché tutti gli chiesero: “Barone, ma è bravo il figlio di Cesare?” E Niels con la sua solita pacatezza: «Sì, molto. E anche più di suo papà».

    Non si sbagliava affatto l’indimenticato allenatore svedese.

    Aveva sedici anni quando venne lanciato nella mischia per la prima volta, in quel match di gennaio del 1985, in uno stadio Friuli coperto di neve, come se anche il cielo si volesse prostrare ai suoi piedi, dedicandogli il paesaggio più bello.

    Da lì in poi saranno venticinque anni di successi, di record su record, di trofei su trofei. Dalle 5 Coppe Campioni/Champions League ai 7 Scudetti, dalle 5 Supercoppe Europee alle 3 Coppe Intercontinentali, per concludere con le 5 Supercoppe italiane e una Coppa Italia. In totale fanno 26 titoli, in 902 presenze, record assoluto nella storia del Milan.

    Tante vittorie, ma anche tante sconfitte hanno scandito la sua vita calcistica. Lo ha ricordato lui stesso in una diretta Instagram durante il forzato lockdown per il Covid-19: «Tutti mi riconoscono come uno dei più vincenti giocatori della storia, ma io credo di essere anche il giocatore più perdente della storia. Ho vinto tanto, ma ho perso tre finali di Champions League, una di Supercoppa Europea, tre di Intercontinentale, una finale di Coppa del mondo e una finale europea. Se poi ci aggiungiamo che Lippi mi chiese di andare in Germania nel 2006 e non accettai… Beh, credo che oltre ad essere il più perdente sono anche il più sfigato”. 

    Che nel suo percorso azzurro con la nazionale italiana la sfortuna ci abbia anche messo un po’ del suo lo crediamo tutti, anche perché, uno come lui, quel mondiale tedesco se lo sarebbe proprio meritato. Come avrebbe meritato di vincere il Pallone d’Oro durante la sua trionfante carriera.

    Ma poi ripensi che ci sono giocatori che non hanno bisogno di vincere per forza tutti i titoli a disposizione o i premi individuali più ambiti, non hanno bisogno di ulteriori conferme per essere considerati grandissimi.

    Paolo Maldini fa parte di questi.

    Anche per l’esempio di capitano che è stato, delle responsabilità che si è preso, della faccia che ci ha sempre messo (celebre il dopo Istanbul nel 2007), da come trascinava i compagni e da come inculcava la “mentalità Milan” ai più giovani o ai nuovi arrivati.

    «Vorrei essere ricordato come una persona normale» dirà in un’intervista di qualche anno fa.

    No, non accadrà mai, perché normale non lo è stato.

    Paolo è una vera e propria leggenda del calcio mondiale, e lo sarà fino alla fine dei giorni. Questo è chiaramente oggettivo.

    Per avvicinarsi ad un’idea più precisa di cosa è stato Paolo Maldini, basta leggere le parole di uno dei più forti attaccanti mai esistiti, Ronaldo, “O’ fenomeno” per intenderci: «Maldini è stato il più forte difensore con cui mi sono dovuto confrontare. Contro di lui era sempre durissima». E se lo dice uno che per fermarlo dovevi sparagli…

    E se poi anche l’Equipe, celebre testata francese, una che di certo non si è mai fatta problemi a screditare l’Italia e i suoi “figli”, incorona Paolo Maldini, scrivendo che «In 23 anni di carriera non si è mai allontanato da un senso della morale, del dovere, della fedeltà e dell’etica che ne fanno una delle icone del calcio mondiale», allora qui signori siamo ufficialmente davanti ad un giocatore mitologico.

    Si, un mito. Il mito di “Cuore di drago” Maldini, eroe leggendario che vivrà per sempre nei più malinconici romanzi calcistici.