Emiliano Mondonico e quella sedia al cielo di Amsterdam

Mondonico
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Ci sono allenatori destinati ad occupare un posto speciale nell’immaginario e nel cuore di chi ha avuto la fortuna di seguirli da vicino e ammirare le squadre da loro guidate.

Non è sempre una questione di trofei vinti, di risultati conquistati o di meriti sportivi. Nel calcio, così come nella vita, c’è molto altro che non può essere racchiuso in un semplice numero e riguarda la sfera personale, ciò che si è stati in grado di lasciare in termini di ricordi da custodire gelosamente dall’incedere inesorabile del tempo.

Uno di questi è senza ombra di dubbio Emiliano Mondonico, allenatore che purtroppo ci è stato portato via troppo in fretta due anni fa, dopo una lunga battaglia contro una malattia iniziata diversi anni prima.

Mondonico, che pure ha ottenuto risultati notevolissimi in relazione alle squadre allenate e agli obiettivi prefissati, è stato prima di tutto un uomo di calcio spontaneo, schietto e sincero come pochi altri, uno che in campo le sue emozioni le lasciava trasparire eccome, riuscendo a trasferire alle sue squadre quella grinta e quella voglia di lottare tipica del suo animo mai domo.

La sua carriera da allenatore inizia a Cremona, alla fine degli anni’70, quando gli viene affidata la squadra giovanile. Passano appena 2 anni e si ritrova a guidare la prima squadra in Serie B, ne passano altri due e la Cremonese viene promossa in Serie A. La prima di una serie di promozioni di cui Emiliano Mondonico si renderà partecipe nel corso della carriera.

Le squadre a cui il suo nome è più legato sono indubbiamente Atalanta e Torino, squadre con cui l’allenatore è riuscito ad instaurare un legame che andasse ben oltre il rettangolo di gioco, un connubio difficilmente replicabile in altre piazze.

Con gli orobici, presi in Serie B, Mondonico ottiene subito la promozione in Serie A e nella stagione successiva è protagonista insieme alla squadra di un’incredibile cavalcata in Coppa delle Coppe che si conclude solamente in semifinale, sconfitto dai belgi del Malines che poi si imposero in finale sull’Ajax.

A Bergamo rimane fino al 1990, ottenendo un sesto e un settimo posto nelle due stagioni successive al sorprendente cammino europeo, quando decide di accasarsi a Torino.

Con i granata Emiliano Mondonico fa addirittura meglio, in termini di risultati, rispetto a quanto aveva fatto a Bergamo.

Come dicevamo in apertura, però, sarebbe estremamente riduttivo giudicare Mondonico esclusivamente per i traguardi raggiunti ed infatti l’episodio più clamoroso che lo ha reso celebre, in Italia ed in Europa, avviene in occasione di una sconfitta in finale, nella celebre cornice dello Stadio Olimpico di Amsterdam.

Siamo nel 1992, il giorno è il 13 Maggio, ed il Torino si appresta a disputare l’ultimo atto della Coppa Uefa contro l’Ajax.  L’andata, in casa dei granata, si è conclusa sul risultato di 2-2 e ai ragazzi di Mondonico non resta altro da fare che vincere in Olanda.

Il Toro attacca a testa bassa ma la porta dei lancieri sembra stregata. I legni respingono ben 3 tentativi dei granata che sembravano destinati in fondo alla rete ma quella partita, oltre che per la sconfitta in finale, passerà alla storia per un gesto clamoroso, per quanto assolutamente pacifico e innocuo, di Emiliano Mondonico: la sedia sollevata al cielo di Amsterdam.

Il tutto ha origine da un’incursione di Roberto Cravero che cade all’interno dell’area di rigore dopo un contatto, o presunto tale, con Frank de Boer. I granata vogliono la massima punizione e anche il Mondo in panchina non ci sta. Piccola precisazione: all’epoca le panchine non erano certo quelle di adesso ma erano formate, in buona sostanza, da una serie di seggiole messe una di fianco all’altra.

L’allenatore, di puro istinto, ne afferra una e la solleva in aria in segno di protesta. Un atto di ribellione spontaneo, sincero, talmente iconico da passare alla storia nonostante la sconfitta.

Quella sedia è il simbolo di chi tifa contro tutto e tutti. È il simbolo di chi non ci sta e reagisce con i mezzi che ha a disposizione. È un simbolo-Toro perché una sedia non è un fucile, è un’arma da osteria” – Emiliano Mondonico

Così come giudicare il tecnico di Rivolta d’Adda esclusivamente dai risultati sarebbe scorretto, anche ridurlo a questo gesto, per quanto celeberrimo, è altrettanto ingiusto nei confronti di un allenatore in grado di vincere, nell’annata successiva, la Coppa Italia, ad oggi l’ultimo trofeo conquistato dal club granata.

Nel ’94 torna a Bergamo, per altri 4 anni, e poi di nuovo a Torino, dal ’98 al 2000. In questi anni colleziona altre due promozioni che, insieme a quella ottenuta con la Fiorentina nella stagione 2003-2004, lo portano ad essere il secondo allenatore ad aver ottenuto più promozioni a quota cinque.

Ovviamente non sono mancate anche le retrocessioni, cosa che è perfettamente nello spirito del gioco.

Nel nuovo millennio la carriera di Mondonico si divide tra Napoli, Cosenza, Fiorentina, Albinoleffe, Cremonese e Novara, ultima tappa prima del ritiro.

Gli ultimi anni in panchina sono molto travagliati per via della malattia, che lo costringe prima ad un intervento chirurgico e poi a cure successive, purtroppo non risolutive.

Nonostante Mondonico non abbia mai allenato in una cosiddetta big si può certamente considerare tra gli allenatori in grado di scrivere pagine importanti nella storia di questo gioco, un pragmatico nel modo di intendere il calcio ma non per questo incapace di sognare.

Il pallone è sempre stato mio amico. Vivevo in una trattoria in riva al fiume lontano dal paese e i miei genitori erano obbligati a servire i clienti. Io ragazzino prendevo il pallone sotto braccio con i miei 10-15 cagnolini e andavo in mezzo al bosco, dove le piante erano gli avversari e le dribblavo con il pallone” – Emiliano Mondonico