Oscar Washington Tabarez, il Maestro

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Nominare Oscar Washington Tabarez, è bene metterlo in chiaro fin da subito, significa chiamare in causa la Storia con la S maiuscola, soprattutto in Uruguay, terra in cui l’allenatore è nato e dove per tutti è semplicemente “el Maestro”.

Un soprannome che ci fa capire già tantissimo riguardo la caratura di un personaggio che ha segnato come pochi altri le vicende calcistiche del territorio che si frappone fra Brasile e Argentina, al quale il tecnico ha giurato amore eterno e incondizionato.

Un soprannome che deriva in primo luogo dal passato di insegnante di Tabarez ma che nel corso della carriera ha assunto un significato ben più ampio, a certificare il ruolo di guida e punto di riferimento di un intero movimento calcistico.

La sua carriera da allenatore inizia nel 1980 quando gli viene affidata la guida delle giovanili del Bella Vista, squadra Uruguaiana con sede a Montevideo. Già nell’83 è a capo della selezione under 20 dell’Uruguay, che conduce alla vittoria nei giochi panamericani ai danni del Brasile. Per il primo successo prestigioso alla guida di un club bisogna attendere il 1987, anno in cui Tabarez conquista la Copa Libertadores alla guida del Penarol.

Un successo che un anno più tardi gli spalanca le porte della Nazionale maggiore dell’Uruguay, traguardo a cui approda dopo aver bruciato le tappe in maniera impressionante.

Il Mondiale in Italia è alle porte e la Celeste non fallisce la qualificazione. La squadra che si presenta al Mondiale è lo specchio del suo allenatore: solida, grintosa, combattiva e molto ben organizzata.

Se si ricerca lo spettacolo la squadra di Tabarez non è proprio la prima a cui si guarda, come testimonia la sfida degli ottavi di finale proprio contro gli Azzurri, un match teso, ruvido e spigoloso che alla fine decreterà la nostra vittoria con conseguente passaggio del turno.

Dopo il Mondiale il rapporto tra Tabarez e la Celeste si interrompe; non è un addio anche se passeranno ben 16 anni prima che le rispettive strade torneranno ad incrociarsi.

Nel frattempo l’allenatore di Montevideo viene chiamato da un’altra squadra prestigiosa, il Boca Juniors, con la quale il primo anno ottiene un secondo posto nel torneo di Apertura mentre nella seconda stagione centra la vittoria finale. Nonostante le due annate alla guida degli Xeneizes siano positive non rimane e a fine anno si accasa nuovamente al Penarol, senza riuscire a ripetere l’exploit dell’87.

Il richiamo dell’Europa è molto forte e la possibilità di sbarcare oltre oceano gli viene concessa dal Cagliari. Il presidente Massimo Cellino decide di affidarsi al Maestro per il dopo Giorgi, allenatore che aveva condotto la squadra sarda fino alla semifinale in Coppa Uefa.

La squadra che Tabarez si ritrova ad allenare è costituita da alcuni elementi di spicco, in particolare nel reparto offensivo, dove si segnala un tridente delle meraviglie composto da Roberto Muzzi, Lulù Oliveira e Dely Valdes. Dopo un inizio tra alti e bassi la squadra sembra ingranare, e a tratti gioca anche un ottimo calcio, purtroppo però nella seconda parte di stagione, complice qualche infortunio di troppo, il rendimento cala e alla fine i rossoblù si devono accontentare di un più che onorevole nono posto.

A fine anno Tabarez lascia l’isola ma non l’Italia, in quanto nell’estate del 1996 viene ufficializzato come nuovo allenatore del Milan.  I rossoneri sono campioni d’Italia in carica e la campagna acquisti estiva ha portato a Milano Dugarry, Davids, Reiziger e Vierchowod.

Nonostante l’ottima rosa, i risultati nelle prime partite di campionato sono piuttosto deludenti e, sommati all’eliminazione in Coppa Italia e alla sconfitta in Supercoppa italiana, fanno sì che la società inizi a mettere in discussione l’operato del tecnico.

Dopo la sconfitta contro il Piacenza, all’undicesima giornata, il Milan si ritrova già staccato di 7 lunghezze dalla Juventus capolista ed il tecnico decide di rassegnare le proprie dimissioni, prontamente accettate dalla dirigenza rossonera.

“Sto malissimo. Non cerco vendette, non faccio nomi. Avevo fatto una scommessa, l’ho persa. Non sono l’unica causa della situazione che si è creata. Ma è certo che non sono riuscito a sistemare le cose. Io sono molto critico con me stesso. I numeri, che nel calcio sono decisivi, ci danno torto. Credo però di avere mostrato che c’ è anche uno stile Tabarez. E continuo a pensare che una società sia veramente grande quando sa costruire attorno alla squadra una corazza, per proteggerla”

Nonostante il fallimento in quello che probabilmente può considerarsi l’incarico più importante della carriera ciò che emerge, prima di ogni altra cosa, è la caratura morale dell’uomo, la capacità di accettare il verdetto del campo, unico giudice insindacabile.

Un verdetto che sarà ancora più amaro l’anno seguente, in Spagna, quando la barca Real Oviedo affonda in Segunda Division con il Maestro al timone.

Tabarez, prima di dichiarare conclusa l’esperienza Europea, prova a rigiocarsi la carta Cagliari ma dopo appena 4 partite, di cui 3 perse ed una pareggiata, viene esonerato.

Al Maestro non resta altro da fare che raccogliere i cocci e salutare l’Europa: è evidente come il nostro continente ed il credo calcistico del tecnico non si siano mai del tutto incontrati come è altrettanto evidente che nessuno, dal punto di vista umano, possa muovere alcun tipo di critica ad un uomo che si è sempre dimostrato onesto, umile e rispettoso nei confronti di tutti.

Gli anni successivi alla guida del Velez e del Boca Juniors sono solo il preludio del ritorno a casa, che avviene nel 2006.

Tabarez viene nominato per la seconda volta allenatore dell’Uruguay, un rapporto che si era interrotto dopo il Mondiale di Italia ’90 e ora può finalmente riprendere. La strada da percorrere, per tornare a vincere ed essere di nuovo grandi, è lunga e tortuosa ma questa volta il Maestro può contare su alcuni allievi di livello assoluto. Continuando la metafora scolastica potremmo definirli primi della classe, perché tali sono Suarez e Cavani, due giovani campioni che si vanno ad innestare su un telaio di giocatori già esperti e dalle comprovate qualità.

Il Mondiale in Sudafrica del 2010, con la Celeste che chiude al quarto posto, sconfitta solamente in semifinale dall’Olanda, è il preludio del trionfo in Copa America nell’anno successivo, un successo ancor più clamoroso perché arrivato in terra argentina.

Il 2 gennaio 2011 gli viene assegnato il premio di commissario tecnico dell’anno, un riconoscimento dovuto primariamente al successo in Copa America ma frutto di un lavoro di crescita maturato anno dopo anno e arrivato al suo massimo compimento.

Anche i Mondiali del 2014 e del 2018 lo vedono seduto sulla stessa panchina, perché Tabarez in Uruguay è ormai diventato un’istituzione. Qualcosa però, tra una rassegna e l’altra, è cambiato.

Nel 2016 all’allenatore viene diagnosticata una malattia neurodegenerativa che lo limita fortemente nella capacità motoria, tanto che è costretto a spostarsi con l’ausilio di una stampella.

Ciò che è rimasta sempre uguale è la voglia di insegnare calcio, che per il Maestro equivale un po’ a spiegare la vita.

Finché sentirò l’appoggio della mia famiglia, dei dirigenti e dei miei collaboratori e finché i giocatori mi seguiranno, andrò avanti”.

Nel novembre dello scorso anno ha toccato le 200 presenze da allenatore dell’Uruguay, traguardo che lo pone in cima alla classifica degli allenatori per quel che riguarda le partite allenate da commissario tecnico di una nazionale. Ha partecipato inoltre a 6 edizioni diverse della Copa America e a 4 Mondiali, ma più di qualsiasi numero a fare la differenza sono il suo attaccamento e la dedizione alla causa Celeste. Un amore che non conosce limiti né confini.