Roberto De Zerbi: il coraggio delle idee

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Il Sassuolo nella scorsa stagione è stata una delle squadre più sorprendenti, non soltanto per l’ottavo posto in classifica ma per la qualità del gioco messo in mostra durante tutto l’arco dell’anno.

Se è vero che la differenza alla fine la fanno sempre i giocatori che scendono in campo, ed il Sassuolo ha potuto contare su alcuni elementi di spicco specialmente nella fase offensiva, è altrettanto evidente che la mano dell’allenatore, concetto usato spesso a sproposito, in questo caso si sia vista ben più che da altre parti.

Roberto De Zerbi non ha mai fatto mistero di avere come obiettivo primario quello di far giocare bene la propria squadra, non tanto per una questione estetica fine a se stessa, quanto perché pensa che quello sia l’unico modo attraverso il quale la squadra abbia più possibilità di centrare la vittoria.

Un concetto che spesso si sente dire da molti allenatori che poi, quando arrivano al banco di prova contro le grandi squadre, abdicano almeno in parte al loro pensiero per cercare di sfangare qualche punticino che a fine anno può essere vitale.

Intendiamoci, non c’è nulla di male in tutto ciò e anzi cambiare, adattare il proprio pensiero ed il proprio sistema di gioco a seconda delle circostanze può essere benissimo visto come un sintomo di intelligenza da parte dell’allenatore.

De Zerbi, fin dagli esordi da allenatore, ha dimostrato però di essere diverso, in un certo senso radicale, estremista nella sua idea di calcio che prescinde totalmente dall’avversario almeno per quel che riguarda la fase propositiva della manovra.

D’altra parte chi aveva avuto modo di vederlo nelle vesti di calciatore doveva in qualche modo aspettarselo: poteva un trequartista iper-tecnico e dalla visione di gioco illuminante diventare un allenatore speculativo? Per carità, nel calcio tutto può essere ma era alquanto improbabile.

Infatti fin dalla sua prima avventura di un certo rilievo con il Foggia in Lega Pro cerca di plasmare la squadra alla sua idea di calcio, che rifugge la banalità e cerca sempre la giocata ad effetto.

Con i satanelli, con i quali era già stato giocatore dal 2002 al 2004, Roberto De Zerbi conquista al primo anno un settimo posto e nella seconda stagione sfiora l’impresa: la sua squadra, dopo aver vinto la Coppa Italia di Lega Pro, conclude al secondo posto in classifica e fallisce la promozione in Serie B a causa della sconfitta in finale playoff contro il Pisa di Gennaro Gattuso al termine di un confronto accesissimo che ha lasciato anche qualche strascico tra i due allenatori, successivamente chiarito.

È al termine di questa stagione che il nome di De Zerbi inizia a circolare tra quelli degli allenatori più interessanti del panorama calcistico italiano delle serie minori, in quanto è del tutto inusuale vedere una squadra di Lega Pro esprimere una qualità di calcio eccelsa riuscendo ad ottenere anche ottimi risultati. La terza stagione dovrebbe essere quella della consacrazione in LegaPro ma già ad Agosto l’allenatore lascia il club per via di alcune divergenze con la dirigenza.

Come detto però il suo nome ha già iniziato a circolare anche tra i club di livello superiore ed infatti Maurizio Zamparini lo chiama subito in Serie A nel suo Palermo per sostituire Davide Ballardini, fresco di esonero. L’impatto con la Serie A, senza aver avuto la possibilità di conoscere la squadra e di far assimilare le proprie idee, è decisamente traumatico e dura appena 12 partite, 9 delle quali terminate con una sconfitta per i rosanero, al termine delle quali viene sollevato dall’incarico.

Un’esperienza del genere potrebbe scoraggiare chiunque ma De Zerbi è sicuro delle proprie idee ed è altrettanto consapevole che per farle proprie e applicarle serve tempo.

Nel calcio, come nella vita, non esistono scorciatoie in grado di rendere magicamente semplici le cose complicate ed il suo modo di intendere il pallone richiede uno sforzo mentale non indifferente da parte di tutti gli interpreti, a cui sono richiesti compiti specifici e dettagliati in ogni fase del gioco.

Se vuoi cercare di imporre il tuo calcio anche contro le grandi squadre non basta certo che dici a tuoi giocatori di farlo, serve allenamento e meticolosità in ogni aspetto. Serve, come detto, parecchio tempo.

Nell’Ottobre del 2017, dopo essere stato fermo poco meno di un anno, torna in sella ad una squadra di Serie A sostituendo Marco Baroni sulla panchina del Benevento. Fin da subito quella che lo attende ha tutte le sembianze di un’impresa disperata, con la squadra inchiodata in fondo alla classifica e incapace di fare punti. Molti in una situazione del genere baderebbero come si suol dire al sodo, cercando di raccattare qualche punticino qua e là, magari in casa contro le squadre più abbordabili. Come avrete capito non è il caso di De Zerbi, che nemmeno in un’occasione simile vuole venir meno ai suoi principi. La squadra lo segue e poco alla volta diventa rispettabile, pur non riuscendo a scampare l’inevitabile retrocessione che arriva puntuale a fine anno. I 21 punti conquistati a fine stagione però non sono certo stati casuali e hanno fruttato all’allenatore diversi elogi, accanto ai quali non sono ovviamente mancate le critiche. Dove potrà arrivare un calcio simile praticato in una squadra medio/piccola? Ha davvero senso cercare di iniziare sempre una costruzione dal basso anche con giocatori tecnicamente non così evoluti come invece possono essere i difensori dei top club? Interrogativi che il tecnico sente, rielabora e immagazzina, già pienamente consapevole della risposta. Sì, per lui ha senso.

La stagione successiva viene nominato nuovo allenatore del Sassuolo, ovvero la dimensione probabilmente ideale per lo sviluppo del suo calcio. La squadra è ambiziosa, con una buona proprietà alle spalle e senza l’assillo del risultato immediato. Cosa ancor più importante gli può concedere tutto il tempo di cui ha bisogno. La prima stagione, come è lecito aspettarsi, si dipana tra alti e bassi: i neroverdi alternano ottime prestazioni soprattutto dal punto di vista offensivo alternate ad altre disastrose, dove imbarcano acqua da tutte le parti. La cosa più difficile è trovare il giusto equilibrio che permetta alla squadra di esprimersi come vuole il proprio tecnico nella metà campo offensiva senza essere troppo vulnerabile dietro, cosa più facile a dirsi che a farsi.

Nella seconda stagione, quella appena andata in archivio, le cose vanno decisamente meglio. I giocatori sembrano aver assimilato pienamente i concetti del tecnico e la squadra si esprime su ottimi livelli quasi su ogni campo, anche contro le big. Il Sassuolo ottiene scalpi illustri e le imbarcate si riducono notevolmente, di dimensione e numero. Tante sono le individualità che si mettono in mostra, basti pensare a Boga, Traorè, Djuricic o Muldur. Alcuni giocatori di cui si diceva benissimo fino a qualche tempo e che si erano un po’ smarriti, come Locatelli e Berardi, sono rinati sotto la gestione di Roberto De Zerbi.

La sua idea è fortissima, entra nelle vene e circola velocissima nel sangue. Quando gli arriverà la giusta chance dimostrerà ancora di più le sue qualità” – Francesco Farioli (ex preparatore dei portieri a Benevento e Sassuolo)

Quest’anno in molti si aspettano il definitivo salto di qualità, che non vuol dire necessariamente migliorare la posizione in classifica dell’anno passato, già di per sé molto buona. Significa più che altro dimostrare con continuità che il bel gioco è propedeutico al risultato, significa limare quelle imperfezioni in fase difensiva che ancora si sono viste nella passata stagione, significa trovare e ottimizzare l’equilibrio che consenta alla squadra di esprimere tutte le proprie potenzialità a livello offensivo senza pagare un prezzo troppo elevato in termini di gol subiti. Da questi aspetti, e da molti altri, passeranno i successi futuri di Roberto De Zerbi, che certamente si sta dimostrando uno dei tecnici più interessanti da seguire nel nostro panorama calcistico.