Il falòtico Morfeo

    Il falòtico Morfeo

    Gli anni passano, inesorabili.
    Sembra ieri quando quel funambolico numero dieci accendeva partite e stadi.
    Si accendeva, per poi spegnersi, poi nuovamente riaccendersi. A intermittenza, come tutta la sua carriera.

    Domenico “Mimmo” Morfeo è stato da calciatore un meraviglioso talento, classico trequartista anni novanta esile ma dalle spiccate doti tecniche, capace di fare innamorare tutti gli amanti del bel calcio con le sue giocate e i suoi lampi di classe.

    Giocatore talentuoso sì, ma anche un po’ discusso, a volte un po’ troppo lezioso e dal carattere particolare.

    Classe ‘76 come Francesco Totti, due anni più piccolo di Del Piero, tre più grande di Andrea Pirlo (anche se poi arretrato, come tutti sappiamo, a regista davanti alla difesa), Morfeo era sin da giovanissimo potenzialmente uno dei più forti “10” del calcio italiano della sua generazione, quello di cui se ne parlava un gran bene, quello che tutti si aspettavano diventasse un grande campione del calcio italiano.

    Il falòtico Morfeo, calciatore di talento

    Morfeo fu incapace però di sfondare ai livelli che avrebbero meritato le sue doti.

    Ha appena 14 anni quando dalla Marsica, regione storico-geografica dell’entroterra abruzzese, si trasferisce 700 km più a nord, a Bergamo, nel florido settore giovanile dell’Atalanta.

    A gestire il tutto nell’Accademy orobica c’era uno dei più grandi scopritori di talenti, l’indimenticato Mino Favini, che stravedeva calcisticamente per Morfeo.

    Gli chiesero tante volte chi fosse stato il talento più forte scoperto, la risposta era sempre la stessa.

    «Il più talentuoso che ho scoperto? Sicuramente Domenico Morfeo. Dava del tu al pallone con disarmante naturalezza. Ma il talento a volte non basta, devi coltivarlo giorno per giorno, con il sacrificio, il lavoro, l’allenamento…”.

    DISSE IN UN INTERVISTA A BERGAMOPOST.IT . GIÀ. UNA STORIA SENTITA E RISENTITA.

    Il talento non basta per diventare grandi.

    Interpellato da Giovanni Fontana, il compianto scopritore di talenti raccontò invece diversi aneddoti per Rivista Undici che forse descrivono meglio il talento dell’abruzzese:

     «Era puro talento! Tant’è che capitava spesso, mi ricordo benissimo, che i suoi compagni di squadra non lo capivano, non capivano le sue intenzioni: faceva delle giocate stranissime per essere un ragazzino di 14 anni, perché vedeva tutto, aveva occhi davanti e occhi dietro. Tecnicamente rasentava la perfezione, e tutti ci aspettavamo onestamente qualcosa in più dalla sua carriera visto quanto era forte…Era un po’ scavezzacollo, in senso buono. Anche un po’ troppo sicuro di sé. Ricordo per esempio una semifinale categoria Giovanissimi in cui l’Atalanta giocava contro l’Inter. Vedendo l’allenatore (Vavassori) un po’ preoccupato per la partita, Mimmo, allora quindicenne, si avvicinò e gli disse: ‘Mister, stia buono, ci penso io a risolver la partita’. 1-0! Gol di Morfeo!»

    Falòtico, stravagante, bizzarro. Chiamatelo come vi pare.

    Nelle giovanili nerazzurre Morfeo trascinerà i suoi pari età, ma anche i più grandi, alla conquista di un titolo nazionale Allievi, un titolo Primavera e un torneo di Viareggio.

    Un altro dei grandi estimatori di Morfeo calciatore non poteva non essere infatti anche Cesare Prandelli, suo allenatore e Guru ai tempi dell’Atalanta Primavera prima, e del Verona e Parma poi.

    “Con quel sinistro era in grado di metterla dove voleva. Ne ho visti pochi in carriera fare quello che faceva con la palla Domenico…” .

    Peccato che poi quel sinistro non lo adoperò con continuità…

    Ha segnato 54 gol in 169 presenze di serie A, fornendo assist su assit e incantando con le maglie di Atalanta, Fiorentina, Verona, Parma.

    In realtà ha giocato anche con Inter e Milan (dove vinse anche lo scudetto 1998-99), ma individualmente è stato un vero e proprio flop su entrambe le sponde del naviglio, imbrigliato dal suo carattere e dal suo ruolo indefinito.

    E a 32 anni non avrà più voglia di giocare.

    Ci proverà nel Brescia in B, poi nella Cremonese in C, ma oramai ha deciso.

    Un ultimo anno tra i dilettanti abruzzesi nel suo paese d’origine, San Benedetto dei Marsi, e la definitiva chiusura della sua altalenante carriera.

    Un cognome, “Morfeo”, che forse rispecchia proprio la divinità, il Dio del sonno: a tratti troppo addormentato per poter esprimere tutto il suo repertorio.