Italia-Brasile ’94, la beffa a stelle e strisce

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    In questa storia conviene partire dalla fine.

    Un po’ perché tutto sommato, delle storie, è la fine quella che tutti vogliono ascoltare. Un po’ perché in questa storia, raccontare subito la fine significa togliersi immediatamente il dente, pagare il tributo ai ricordi più dolorosi e cacciare via subito quel magone che irrimediabilmente sale in gola.

    E, allora, andiamoci alla fine di questa storia.


    Siamo al Rose Bowl di Pasadena. Un calderone stipato da 94.194 persone che cercano in tutti i modi di non pensare ai 36 gradi, al sole cocente, al 70% di umidità. D’altronde sono quasi le 15, orario insolito per la finale di un Mondiale, ma imposto dalle esigenze televisive, in uno dei primi Mondiali veramente figli della globalizzazione.

    Ma, alla fine di questa storia, di gente che pensa al caldo ce n’è poca. Ormai siamo al culmine della tensione, e gli occhi di tutti sono su quel ragazzo con il numero 10 sulle spalle e il codino che copre il nome stampato sulla maglia. Roberto Baggio sta per presentarsi sul dischetto, con il compito di segnare per tenere vive le – ormai pochissime – speranze dell’Italia di rimanere in corsa.

    Baggio prende il pallone, lo posiziona sul dischetto, guarda Taffarel e poi tira.

    Il pallone si perde nel cielo di Pasadena, Taffarel si inginocchia, e verso il cielo alza le dita: il Brasile è campione del Mondo, il sogno dell’Italia finisce qui.

    Ecco, questa è la fine della storia, l’ultimo atto della finale di USA ’94. Adesso, forse, possiamo raccontare tutto il resto, che, sicuramente, sarà molto più interessante, visto che i 120 minuti che hanno preceduto i calci di rigore non passeranno certo alla storia come i più emozionanti di sempre.

    Come ci sono arrivate, alla finale di USA ’94, Italia e Brasile? Il cammino del Brasile non è stata una passerella, ma di sicuro è stato molto meno complicato di quello degli azzurri. I verdeoro hanno vinto il girone con Svezia, Russia e Camerun senza troppi patemi d’animo, hanno superato Stati Uniti e Olanda di misura agli ottavi e ai quarti di finale, e poi si sono ritrovati di nuovo di fronte la Svezia, superandola in semifinale con un 1-0, il minimo indispensabile. Non è un Brasile spettacolo, è un brasile stranamente solido, quasi “europeo”, ma è sempre lì.

    Quello dell’Italia, invece, è stato una specie di percorso a ostacoli. La nazionale di Arrigo Sacchi ha superato il girone eliminatorio per il rotto della cuffia. Una pesante sconfitta con l’Irlanda all’esordio, una risicata vittoria con la Norvegia alla seconda partita, un 1-1 con il Messico nell’ultima partita. La classifica finale del girone vede tutte le squadre a 4 punti, e gli Azzurri si qualificano soltanto come una delle migliori terze.

    Gli ottavi di finale mettono a dura prova le coronarie dei tifosi italiani. Andiamo sotto con la Nigeria, a 15′ dalla fine l’arbitro si inventa l’espulsione di un incredulo Gianfranco Zola. Poi, a un minuto dalla fine, Roberto Baggio ci prende per mano. Prima pareggia i conti, poi ai supplementari segna il rigore che ci manda ai quarti di finale. Contro la Spagna, ancora una volta, ci pensa lui: è del Divin Codino il gol che a due minuti dalla fine ci consente di superare gli iberici in una partita tesissima.

    Paradossalmente, la semifinale contro la Bulgaria è la più tranquilla tra tutte. Manco a dirlo, è una doppietta di Roby, nella prima mezzora, a spianarci la strada verso Pasadena. Siamo in finale, e ce la vedremo con il Brasile.

    L’Italia di Sacchi è stata fino a quel momento una squadra molto strana. Il profeta di Fusignano non è riuscito a far giocare la squadra come voleva. Il suo calcio, forse, è poco adatto a una Nazionale, visto che non c’è il tempo necessario per assimilare tutti i concetti, e soprattutto, è un calcio in cui il singolo si dovrebbe piegare alle esigenze dell’idea di gioco. L’Italia di Sacchi, invece, è stata presa per mano dal campione per antonomasia, in sostanza fino alle semifinali è stato un “Roberto Baggio e altri 10”. In più il caldo e il calendario serratissimo non lasciavano praticamente spazio al recupero delle energie.

    Alla vigilia della finale, infatti, succede un guaio. I muscoli di Baggio, già martoriati dai tanti sforzi, cedono. Lo staff della Nazionale deve fare i miracoli per mandare in campo il numero 10 con una contrattura ai muscoli della coscia destra. Nel frattempo, recuperiamo a tempo record anche Franco Baresi, che si era infortunato al menisco contro la Norvegia. Operato, riesce comunque a tornare in campo, seppur quasi su una gamba. Contando che c’è anche Costacurta squalificato, arriviamo alla finale incerottati e preoccupati.

    Il Brasile che l’Italia si trova di fronte è una squadra abbastanza solida, ma che può contare, davanti, su due campioni assoluti: Romario e Bebeto.

    Alle 12.30, ora locale, del 17 luglio 1994, le due squadre si trovano di fronte. La partita è molto tattica, bloccata. Entrambe le compagini hanno paura di fare un passo falso, di prendere un gol che poi potrebbero non recuperare mai.

    L’Italia ha una buona occasione con Massaro dopo una decina di minuti, e poi è costretta a chiudersi a riccio all’indietro, con il Brasile che spinge, senza però impensierire particolarmente Pagliuca. Si va al riposo sullo 0-0.

    Nella ripresa le squadre si mostrano ancora più fiaccate dal caldo, dalla stanchezza e dalla paura. Al 75′ Pagliuca rischia grosso, si fa sfuggire un tiro di Mauro Silva ma viene salvato dal palo. Sembrerebbe un segnale, sembrerebbe che gli Dei del Calcio siano schierati dalla nostra parte, ma scopriremo che non è così. La partita scivola verso il novantesimo, e si arriva così ai supplementari.

    I 30 minuti extra sono carichi di tensione, ma non di occasioni. Le due squadre hanno più paura di perdere che voglia di vincere, e così l’epilogo dei rigori è inevitabile. Noi ci arriviamo con il fantasma di Italia ’90, con la semifinale persa contro l’Argentina che ancora fa male, malissimo.

    Il primo a presentarsi sul dischetto è Franco Baresi, indomabile. Il capitano azzurro sfida il dolore e la paura, ma calcia altissimo sopra la traversa, e poi scoppia a piangere, distrutto. Per fortuna, però, le cose si equilibrano immediatamente perché Pagliuca ipnotizza Mauro Silva.

    Albertini ci porta in vantaggio, Romario pareggia baciando il palo. Evani segna, Branco pure. Massaro, invece, si presenta sul dischetto, e viene tradito dalla sua insicurezza: Taffarel gli neutralizza il tiro morbido, centrale, quasi impaurito. Il gol di Dunga porta avanti il Brasile e mette tutta la responsabilità nei piedi di Roberto Baggio.

    Sembra quasi uno scherzo del destino. Se il nostro numero 10, l’uomo che ci ha trascinato fin qui, il nostro eroe, insomma, se Roby segna siamo ancora vivi. Se sbaglia, il Mondiale è del Brasile. E come nelle storie più brutte, Roby alla fine sbaglia, calciando alto un rigore che diventerà iconico, il simbolo della crudeltà del calcio.

    Il Brasile è campione del Mondo, a noi restano le lacrime e i rimpianti, il sogno sfumato di alzare al cielo la Coppa del Mondo. Sì, ve l’avevamo detto. Questa storia conveniva raccontarla subito dalla fine, perché ogni volta continua a fare male come se fosse la prima.