Vujadin Boskov: la storia di un personaggio inimitabile

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Parlare di Vujadin Boskov, a poco più di sei anni dalla sua scomparsa, significa parlare di un personaggio divenuto quasi mitologico e leggendario, le cui vicende da allenatore, e ancora prima di calciatore, restituiscono solo in parte la grandezza dell’uomo che va decisamente oltre i risultati ottenuti sul campo, per quanto questi siano stati di portata assoluta.

Boskov, nel corso degli anni, è diventato celebre oltre che per alcuni traguardi storici conquistati, uno su tutti lo Scudetto da allenatore della Sampdoria, per il suo modo di vedere e soprattutto parlare di pallone, grazie ad un lessico schietto ed arguto che faceva ampio uso di metafore e similitudini, tanto bizzarre quanto estremamente azzeccate, come testimonia il fatto che molte di queste vengono ricordate ancora oggi.

Lombardo è come Pendolino che esce dalla galleria”

“Gullit è come cervo che esce di foresta”

“Se io slego il mio cane, lui gioca meglio di Perdomo

Al tempo stesso il suo essere personaggio, però, non deve fare passare in secondo piano le grandissime qualità mostrate prima con le scarpette ai piedi e successivamente a bordo campo, ruolo quest’ultimo in cui si è ufficialmente consacrato al grande calcio.

La carriera da calciatore di Vujadin Boskov inizia nelle giovanili della Vojvodina, squadra della provincia nella quale è nato, nella seconda metà degli anni ’40 e l’approdo in prima squadra avviene nel 1950.  Un anno più tardi, nel 1951, entra a far parte della Nazionale Jugoslava, con la quale disputa 57 incontri fino al 1958.  Da giocatore è un centrocampista di impostazione abile anche in fase di non possesso, estremamente pulito e corretto sul terreno di gioco tanto che per sua stessa ammissione nel periodo con la nazionale non è mai stato ammonito, un evento più unico che raro considerando anche il ruolo.

L’avventura in Serbia da giocatore termina nel 1960 quando Boskov fa la prima conoscenza con il nostro paese, ingaggiato dalla Sampdoria nell’annata ’61-’62. Con i blucerchiati scende in campo 13 volte realizzando anche un gol ma l’avventura a Genova sembra destinata ad essere una toccata e fuga.

Nell’annata successiva infatti si trasferisce in Svizzera negli Young Fellows e le circostanze del caso fanno sì che proprio in questi due anni passati a Zurigo sì materializzino le premesse per la transizione dal campo alla panchina. Succede tutto in maniera piuttosto improvvisa e per certi versi assurda, quando l’allenatore della squadra si fa male e decide di dare il fischietto proprio a Boskov, non sapendo che non lo avrebbe più riavuto indietro.

La prima esperienza seria da allenatore arriva nel 1964, quando la squadra in cui è nato calcisticamente, la Vojvodina, decide di affidargli la panchina. Ha solo 33 anni quando accetta l’incarico ma si capisce subito che di timori reverenziali ne ha ben pochi, lasciando presto il suo marchio indelebile impresso nella storia del club.

È la stagione ’65-’66 quella della svolta: Vujadin Boskov, per la prima volta nella storia del calcio jugoslavo, porta la Vojvodina alla conquista dello scudetto, un’impresa che lo rende immediatamente eroe della sua gente e gli conferisce un ottimo prestigio a livello nazionale e non solo.

A 40 anni arriva la chiamata della Nazionale, impossibile da rifiutare. La Jugoslavia con Boskov in panchina si qualifica agli Europei del ’72 dove viene eliminata per mano dell’Unione Sovietica nei quarti di finale. Nel 1973 lascia la guida tecnica della Nazionale e vola in Olanda per allenare il Den Haag.

Anche nel paese dei tulipani riesce a lasciare subito il segno, portando la sua squadra al successo in Coppa d’Olanda e ben figurando in Coppa delle Coppe.

Dopo i due anni al Den Haag passa al Feyenoord prima di approdare in Spagna, ingaggiato dal Real Saragozza.

L’avventura iberica di Boskov è ricordata principalmente per l’esperienza al Real Madrid dal 1979 al 1982, squadra con cui vince una Liga, due Coppe del Re e con la quale conquista una finale di Champions, poi persa.

Dopo i tre anni alla guida dei Blancos ed il biennio allo Sporting Gijon approda finalmente in Italia. Ad ingaggiarlo, piuttosto sorprendentemente a soli 5 anni dall’esperienza madridista, è l’Ascoli del vulcanico presidente Costantino Rozzi. Il tecnico serbo arriva nelle Marche per sostituire Carletto Mazzone ma non riesce nell’impresa di salvare la squadra, che a fine anno retrocede.

Boskov rimane anche in Serie B e si riscatta prontamente vincendo il campionato e riportando i bianconeri nella massima serie.

L’esperienza più felice, non solo nel nostro paese ma anche a livello generale, per cui è ancora ricordato e idolatrato a distanza di anni, è indubbiamente quella alla Sampdoria, squadra che ha preso in consegna nel 1986 e che ha portato prima ad uno storico scudetto nella stagione ’90-’91, tuttora l’ultimo conquistato dai blucerchiati, e l’anno successivo ad un passo dalla gloria eterna, sconfitto in finale di Champions League dal Barcellona.

La sua tattica era molto simpatica. La domenica mattina ci riuniva nella sala, si metteva davanti alla lavagna e poi diceva: tu Pietro (Vierchowod) e tu Moreno non fate toccare palla agli attaccanti. Poi date palla a Toninho (Cerezo). Poi Toninho buttala avanti, tanto Vialli e Mancini fanno gol. Questo era il suo discorso iniziale prima della partita” – Moreno Mannini a proposito della tattica utilizzata da Boskov

È fuori discussione che l’attacco di quella Samp fosse stellare ma è altrettanto vero che la squadra era completa in ogni reparto e l’allenatore la schierava nel migliore dei modi, equilibrata pur concedendo ampio spazio all’inventiva dei singoli più dotati tecnicamente.

Dopo gli anni magici di Genova passa alla Roma, dove è ricordato principalmente per aver fatto esordire Francesco Totti e poi al Napoli, prima di far nuovamente ritorno alla Sampdoria. Nel mezzo per non farsi mancare nulla, c’è anche la toccata e fuga in Svizzera, alla guida del Servette.

L’ultima esperienza in Italia risale alla stagione 1999, quando nel mese di febbraio viene chiamato dal presidente del Perugia, Gaucci, per risollevare una situazione a dir poco problematica, con la squadra a ridosso della zona retrocessione ed il pubblico in fermento dopo l’allontanamento del tecnico Castagner.

Boskov, che ormai ne ha viste talmente tante in carriera, non si scompone e porta a termine la missione salvando la squadra prima di rassegnare le proprie dimissioni a seguito di contrasti insanabili con la proprietà.

La storia di Vujadin Boskov allenatore si chiude sulla panchina della nazionale: una Jugoslavia del tutto diversa da quella che aveva allenato ad inizio carriera, lacerata dai conflitti che hanno portato allo sfaldamento progressivo ed inesorabile della Repubblica Federale. Nonostante ciò riesce a condurre la selezione agli Europei del 2000, dove verrà eliminata in seguito ad una sonora batosta per opera dell’Olanda.

Euro 2000 è stata anche l’ultima manifestazione internazionale in cui la Jugoslavia ha potuto fregiarsi di tale nome.

Boskov è stato un allenatore sincero come ormai non se ne vedono più, dotato di un’intelligenza sopraffina e di un bagaglio culturale decisamente sopra la media, retaggio dei suoi studi e delle sue passioni. Un uomo capace di tenere testa a presidenti del calibro di Rozzi e Gaucci, senza mai perdere la sua proverbiale ironia e non scadendo mai nell’insulto becero, come spesso accadeva in quegli anni ad allenatori e presidenti. Forse è proprio questo il motivo per cui è stato ed è tuttora amato in maniera così trasversale ed i suoi aforismi continuano a viaggiare nel tempo. Mai come nel  caso di Vujadin Boskov ironia era sinonimo di intelligenza.