Giovanni Galeone, il Profeta

galeone
galeone

Essere un allenatore è molto più che sedersi su una panchina, scegliere undici persone da mandare in campo e dargli qualche indicazione sul come disporsi, come muoversi, cosa fare con il pallone, come provare a vincere una partita.

No, ormai lo abbiamo capito fin troppo bene, dopo anni passati a guardare questo sport, a giocarlo, e a viverlo fino in fondo.

Dietro ogni allenatore, infatti, si nasconde una storia; dietro ogni allenatore c’è un uomo con le sue idee, la sua visione del mondo, il suo modo di intendere la vita: Sì, essere un allenatore è tutto questo e molto altro, e con Giovanni Galeone tutto questo è sempre stato molto evidente.

Galeone, il Profeta per molti, è stato un allenatore speciale, uno di quelli che ha lasciato un’impronta, anche se non tutti forse lo sanno, o, soprattutto, se più di qualcuno fa fatica ad ammetterlo. Basta pensare a un paio di allenatori che sono sulla cresta dell’onda da un po’ in Serie A, che qualche risultato l’hanno ottenuto, e che, in fondo, si sono fatti notare.

Marco Giampaolo, Gian Piero Gasperini, Massimiliano Allegri, per dire i nomi più rilevanti. Cosa hanno in comune questi tre tecnici? Tutti e tre hanno giocato per Giovanni Galeone, tutti e tre sono stati il cervello di Galeone in campo, e tutti e tre hanno avuto la fortuna di avere un rapporto speciale con Galeone, un rapporto nato in campo, ma cresciuto fuori. Cementato con il passare degli anni, diventato poi un legame di uomini, prima ancora che di calciatori.

Galeone comincia la sua carriera da allenatore nel 1975, dopo aver concluso a 33 anni quella da giocatore; Pordenone e Adriese in Serie D, poi la Serie C con Cremonese, Sangiovannese, Grosseto, e i tre anni con la SPAL. È qui che comincia a formarsi quello che poi diventerà il Profeta, un allenatore che avrà chiari in mente una filosofia di gioco e soprattutto un modo ben preciso di intendere il calcio.

L’apice della carriera di Galeone arriva, senza ombra di dubbio, tra il 1986 e il 1988. Nell’estate del 1986 arriva a Pescara, dove, nelle intenzioni della presidenza, dovrebbe allenare una squadra che dovrà disputare il campionato di Serie C1. Il Delfino, però, viene ripescato, e allora Galeone si trova sulla panchina di una squadra che gioca in Serie B, ma con una rosa costruita per la C. Un problema? Macché, visto che al termine della stagione 1986-87 arriva addirittura la promozione in Serie A, al termine di una stagione che ancora oggi, da quelle parti, ricordano come una delle più entusiasmanti di sempre.

La stagione successiva, Galeone ottiene con il Pescara una strepitosa salvezza in Serie A, con una squadra di culto; Junior, Slišković, Gasperini, Rocco Pagano, Cristiano Bergodi. Nomi che contribuiscono alla salvezza della squadra, e a far diventare Galeone un personaggio conosciuto del mondo del calcio.

La sua filosofia calcistica è estremamente chiara: un modulo su tutti, quasi un dogma, il 4-3-3. E poi l’intenzione di giocare bene, di divertire e divertirsi. Altrimenti, tutto questo carrozzone non ha senso.

La favola del Pescara si conclude nel 1989 con un’amara retrocessione in Serie B; da quel momento Galeone comincia a cambiare spesso panchina, quasi irrequieto. Difficile trovare un ambiente che gli garantisca la possibilità di essere se stesso, fino in fondo. E allora Como, di nuovo 3 anni a Pescara, con un esonero nel 1993, e via di nuovo con Udinese e Perugia. Nel 1997-98 viene chiamato da un Napoli destinato alla retrocessione, in un’annata in cui i partenopei cambieranno ben 4 allenatori, ma conclude la sua esperienza senza mai vincere in 10 partite.


Altri due anni a Pescara, prima di accettare un’altra sfida quasi impossibile, quella di provare a salvare l’Ancona della stagione 2003-04. La carriera di Galeone si chiude nel 2007, dopo l’ultima avventura sulla panchina dell’Udinese.

Offerte gliene arriveranno, anche negli anni successivi, ma nessuna che abbracci la sua idea di calcio. Galeone, allora, si chiude nel suo buen retiro, disposto di volta in volta ad accogliere quelli che nel frattempo sono diventati i suoi allievi, e che hanno cominciato ad allenare e a vincere. Una chiacchierata paterna, un consiglio, una discussione su dove sta andando il mondo.

Molto probabilmente, uno come Giovanni Galeone, che era diversi anni davanti a tutti, avrebbe meritato qualcosa di più, una panchina importante, l’opportunità di dimostrare che quell’idea di calcio sarebbe stata vincente. Le cose non sono andate così, ma nel calcio, evidentemente, il risultato non è mai l’unica cosa da tenere in conto. A volte, forse, si può lasciare un’impronta anche in altro modo, e resistere ostinatamente più a lungo al passare del tempo.